VIOLENZA SULLE DONNE
Consenso e giustizia: il “no” di Salvini alla norma sullo stupro che divide la maggioranza
Un disegno di legge atteso per il 25 novembre si ferma in Senato. Il leader della Lega ne apprezza il principio, ma denuncia il rischio di “vendette personali” e contenziosi infiniti. Sullo sfondo: i numeri della violenza, gli standard europei e il confronto con il caso spagnolo
Un’aula che doveva applaudire e invece rimanda. Nel giorno simbolico del 25 novembre, la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, la riforma che introduce nel codice penale il principio secondo cui “senza consenso è violenza sessuale” slitta di colpo al Senato. A prendersi la scena è il vicepremier Matteo Salvini, che frena: «Il consenso è condivisibile, ma una norma scritta così lascia spazio alla libera interpretazione, alle vendette personali e rischia di intasare i tribunali». È l’istantanea di una maggioranza in attrito su un testo che la Camera aveva approvato all’unanimità appena il 19 novembre e che aveva suggellato un patto politico raro tra Giorgia Meloni ed Elly Schlein. Ora, però, il percorso si complica.
Cosa prevede la riforma: il cuore è il “consenso libero e attuale”
Il testo licenziato da Montecitorio riscrive l’articolo 609-bis del codice penale: non serve più dimostrare violenza, minaccia o abuso di autorità; basta accertare l’assenza di consenso libero e attuale della persona coinvolta perché si configuri il reato. È un cambio di prospettiva che allinea l’Italia alla Convenzione di Istanbul e alle nuove coordinate fissate dall’Unione europea, dopo l’adozione della prima direttiva comunitaria contro la violenza contro le donne e la violenza domestica. Il voto alla Camera è stato unanime (227 sì), frutto di una mediazione tra le relatrici Carolina Varchi (FdI) e Michela Di Biase (PD), con la regia delle due leader. Al Senato, però, la Lega ha chiesto un supplemento di audizioni, stoppando l’iter verso l’approvazione nella data simbolica del 25 novembre.
Le parole di Salvini e il ruolo di Bongiorno
Nelle ore del rinvio, Matteo Salvini scandisce una linea netta: «Il principio è condivisibile» ma il testo, nella sua formulazione, «lascia troppo spazio alla libera interpretazione del singolo», fino a spalancare la porta a «vendette personali» e a «decine di migliaia di contenziosi». Il leader del Carroccio cita il lavoro della senatrice Giulia Bongiorno — avvocata di molte donne vittime — come bussola per una riscrittura “più garantista” e “più chiara”. È una mossa politica e giuridica insieme: lancia un segnale ai settori della maggioranza più sensibili al tema delle garanzie processuali e, al contempo, apre un fronte interno con chi — nella stessa coalizione — rivendica l’intesa bipartisan come “rivoluzione culturale”.
Le altre voci nel governo
A rinforzare i dubbi, arriva la ministra per la Famiglia, Natalità e Pari Opportunità, Eugenia Roccella: «Il rischio è il rovesciamento dell’onere della prova». Roccella sostiene che il principio del consenso, «per fortuna», è già presente nella giurisprudenza della Cassazione e chiede più tempo per una legge “convincente”, ricordando anche le critiche giunte da parte di avvocati penalisti. È un richiamo alla prudenza che però stride con l’attesa creata dall’intesa Meloni–Schlein e con l’aspettativa di un varo nel giorno dedicato alle vittime.
Il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha invece voluto sottolineare che «quando si tocca una norma penale anche le virgole hanno la loro efficacia». «La norma penale - ha spiegato - deve essere scritta, soprattutto quando è innovativa come questa, in modo tecnicamente perfetto, che non dia adito a, diciamo, interpretazioni fantasiose». Per Nordio «quando si modifica una norma della parte generale, che quindi riguarda per esempio il caso dell’elemento soggettivo del reato, come la consapevolezza del consenso o del dissenso, tocchi i nervi vitali del codice penale. Non puoi affidarti alla emotività di una elaborazione, diciamo atecnica, devi valutare virgola per virgola, proprio per evitare un domani delle interpretazioni eccentriche»
Cosa resta fermo e cosa avanza: femminicidio “reato autonomo”
Mentre il ddl sul consenso slitta, il Parlamento approva in via definitiva la legge che classifica il femminicidio come reato autonomo, punito con il carcere a vita. Un segnale importante ma che non attenua la delusione di chi chiedeva un “doppio sì” nella stessa giornata. Lo scarto tra le due traiettorie legislative illumina la frattura politica maturata in Palazzo Madama sul nodo “consenso”.
I numeri che non si possono ignorare
A fare da sfondo ci sono i dati, e sono tesi. Nel 2024 le violenze sessuali denunciate hanno toccato quota 6.587, in crescita di circa il 6% sull’anno precedente; le donne uccise sono state 113, con il 91% delle vittime di violenza sessuale di genere femminile. Nel periodo 1 gennaio–31 luglio 2025 le violenze sessuali denunciate risultano in calo rispetto allo stesso periodo del 2024 (3.477 contro 4.202), ma aumentano ammonimenti del questore e misure di prevenzione, segno di un contrasto più tempestivo e di una propensione alla denuncia più alta. In parallelo, i dossier sui reati contro i minori segnalano una crescita strutturale nel decennio e una sproporzione persistente a danno di bambine e ragazze. È dentro questo quadro che la riforma sul consenso dovrebbe incidere: esplicitare nella legge una nozione che renda più lineare l’accertamento, riducendo l’area grigia che oggi costringe molte vittime a dimostrare la resistenza più che l’assenza di assenso.

L’Italia e l’Europa: standard comuni, norme diverse
Sul piano sovranazionale, l’UE ha approvato nel 2024 la prima direttiva contro la violenza di genere e nel 2025 i ministri per le Pari Opportunità hanno rilanciato su prevenzione e intervento precoce. La direttiva obbliga gli Stati a reprimere reati come stalking online, revenge porn, matrimoni forzati e a rafforzare tutela e assistenza alle vittime. Il disegno italiano sul consenso si inserisce in questo solco, ma con una peculiarità: l’obiettivo di far discendere il reato dalla sola mancanza di consenso “libero e attuale”, evitando il ritorno a categorie fondate sulla violenza o sulla minaccia.
Il confronto con la Spagna: cosa imparare dal caso “solo sì è sì”
Il riferimento che più ricorre tra i giuristi è la legge spagnola del “solo sí es sí”. In Spagna, l’intento di centrare tutto sul consenso ha generato un effetto collaterale imprevisto: per via della riduzione dei minimi edittali e della retroattività della norma più favorevole, oltre 1.000 condannati per reati sessuali hanno ottenuto sconti di pena o scarcerazioni. Il governo di Madrid è poi intervenuto per “chiudere il varco” ripristinando cornici sanzionatorie più severe e reintroducendo una distinzione tra fattispecie, pur mantenendo la centralità del consenso. È un precedente che non riguarda l’architettura italiana in sé (dove non si sono prospettati tagli ai minimi edittali), ma offre un avvertimento: la scrittura tecnica delle norme e il coordinamento con il resto del codice sono decisivi per evitare effetti indesiderati.
Il punto critico: come si accerta il “consenso”
Al centro del contendere c’è una parola: consenso. Definirlo “libero e attuale” equivale a chiedere che sia espresso senza coercizioni, manipolazioni o condizioni che ne inficino l’autenticità e che valga nel momento del rapporto. Le obiezioni sollevate da Salvini e dalla ministra Roccella si concentrano su tre rischi:
- una presunta vaghezza della definizione, che potrebbe lasciare margini di interpretazione troppo ampi alla prassi giudiziaria;
- un possibile rovesciamento dell’onere della prova, con l’imputato costretto, di fatto, a dimostrare l’esistenza del consenso;
- un prevedibile sovraccarico dei tribunali, se la norma “scivolosa” incentivasse contenziosi strumentali.
Le associazioni per i diritti e molte penaliste replicano che la centralità del consenso non abolisce il principio di presunzione di innocenza né l’onere probatorio in capo all’accusa, ma orienta l’istruttoria verso la ricostruzione degli elementi oggettivi e soggettivi che dimostrano la mancanza di assenso: messaggi, comportamenti, testimonianze, contesto. In questo senso, la riforma può accompagnare prassi già emerse in giurisprudenza, facendole uscire dalla sola casistica e portandole a norma.
Le reazioni politiche e civiche
Dalla parte dell’approvazione immediata si schierano Partito Democratico e opposizioni, che parlano di “occasione persa” e di “ritirata” del centrodestra, mentre attiviste e realtà come Amnesty International Italia salutano il via libera della Camera come un «passo storico» e chiedono di arrivare in fretta al traguardo. Nella maggioranza, Fratelli d’Italia ha definito la riforma una “rivoluzione culturale”, mentre la Lega insiste su correzioni tecniche e garanzie. È un braccio di ferro che si gioca anche nella percezione pubblica: tra chi vede in questa legge lo strumento per superare l’approccio “difensivo” chiesto alle vittime, e chi teme che l’asticella probatoria si sposti in modo improprio.
Il nodo procedurale in Senato
La decisione della maggioranza di avviare un ciclo di audizioni ha fatto esplodere la protesta delle opposizioni in Commissione Giustizia a Palazzo Madama, con l’abbandono dei lavori e accuse di ostruzionismo. Il rinvio stride con la cornice simbolica del 25 novembre, scelta per l’ultimo passaggio al Senato. Sul piano sostanziale, però, le audizioni possono diventare la sede per sciogliere i punti tecnici: come definire in modo operativo la nozione di “consenso libero e attuale”, quali indicatori probatori valorizzare, come coordinare l’articolo 609-bis con le aggravanti e con i reati satellite (stalking, revenge porn, violenza domestica), e come evitare conflitti di norma.
Per approfondire leggi anche:
Tribunali “intasati”? Cosa dicono i dati e l’esperienza comparata
Il timore dell’intasamento dei tribunali va preso sul serio ma misurato. In Italia, l’andamento dei reati sessuali mostra un’altalena: crescita nel 2024 e calo nel primo scorcio del 2025; nel frattempo sono aumentati gli strumenti di protezione e prevenzione (ammonimenti, allontanamenti), segno di una filiera istituzionale più reattiva. L’esperienza spagnola insegna che gli “effetti valanga” non derivano dall’enfasi sul consenso in sé, ma da due fattori: la riscrittura disattenta delle cornici edittali e la retroattività della norma più favorevole. In assenza di queste condizioni (che il testo italiano, allo stato, non riproduce), il rischio di una “valanga” di ricorsi appare più legato alla fisiologia dell’adattamento giurisprudenziale che a un difetto intrinseco del principio. Tradotto: serve una grammatica normativa precisa e linee guida applicative, non un passo indietro sul cuore della riforma.
Standard minimi europei e attese sociali
La nuova direttiva UE fissa standard minimi sulle fattispecie e sui diritti delle vittime, ma lascia agli Stati un margine nella definizione dei reati e nella tecnica sanzionatoria. L’Italia, con il “consenso libero e attuale”, può collocarsi nel gruppo dei Paesi che riconoscono esplicitamente che il fulcro del reato non è la resistenza della vittima ma la libertà di dire sì o no. È un passaggio culturale e giuridico che molte associazioni promuovono da anni e che una fetta larga dell’opinione pubblica considera ormai maturo. Le audizioni in Senato possono essere l’occasione per ascoltare magistrati, avvocati, centri antiviolenza, forze dell’ordine, accademia, e definire strumenti di prova e protocolli investigativi capaci di ridurre le incertezze senza annacquare il principio.
La politica dopo il 25 novembre: quali scenari
Dopo lo strappo del 25 novembre, gli scenari sono due:
- una rapida intesa in Commissione Giustizia su una definizione più puntuale dei profili contestati (per esempio specificando che il consenso non si presume, può essere revocato in qualsiasi momento, e non coincide con il silenzio o con condotte ambigue) e su un coordinamento con le aggravanti per violenza e minaccia, salvaguardando l’impianto del testo approvato alla Camera;
- un negoziato più lungo, che sposti l’approvazione a dicembre o oltre, con il rischio politico di far evaporare il carattere bipartisan dell’operazione e di alimentare la sfiducia delle vittime verso le istituzioni.
Nel frattempo, il messaggio simbolico lanciato dal Parlamento sul femminicidio come reato autonomo impone coerenza: i due binari — prevenzione e punizione — devono correre paralleli. Una definizione chiara del consenso non è un dettaglio, ma la chiave per spostare il processo penale dalla verifica della “resistenza” fisica alla ricostruzione della libertà sessuale in gioco.
Conclusione: una legge forte perché chiara
La discussione italiana si concentra su un punto cruciale: rendere la norma sul consenso insieme più chiara e più forte. Il rischio di “vendette personali” agitato da Salvini non può essere liquidato, ma nemmeno diventare un alibi per rinviare sine die una riforma attesa. La bussola è duplice:
- garantire i diritti dell’imputato, evitando qualsiasi scivolamento sull’onere della prova;
- affermare, senza ambiguità, che la libertà sessuale si tutela a partire dal consenso e dalla sua prova, che la Procura è tenuta a cercare con strumenti investigativi adeguati, protocolli uniformi e formazione mirata.
L’esperienza europea conferma che le parole di una legge contano quanto la loro cucitura nel sistema: cornici edittali coerenti, clausole di coordinamento, linee guida operative. È qui che si misura la differenza tra una norma “che intasa i tribunali” e una che — nel rispetto delle garanzie — aiuta davvero a ridurre la violenza e ad aumentare la fiducia delle vittime nello Stato.
