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IL CONFRONTO

«Il Garante non lo scegliamo noi»: Meloni respinge la richiesta di azzeramento dopo l’inchiesta di Report

La premier rimanda al Parlamento la competenza sull’Autorità per la privacy, mentre Elly Schlein invoca le dimissioni dell’intero collegio

Alfredo Zermo

10 Novembre 2025, 17:17

«Il Garante non lo scegliamo noi»: Meloni respinge la richiesta di azzeramento dopo l’inchiesta di Report

All’alba, nel frastuono metallico dei carrelli a Fiumicino, un giornalista domanda. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni si ferma un istante, valigia in mano, direzione Bari per un comizio: “L’azzeramento dell’Autorità non è di nostra competenza. Il Garante lo elegge il Parlamento. E, per inciso, l’attuale collegio è stato votato da Pd e Movimento 5 Stelle.” Poi riparte. La scena è rapida, quasi incidentale. Ma il messaggio politico è chirurgico: il governo non toccherà la composizione dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali dopo le rivelazioni di “Report”. E se c’è un problema, riguarda chi quell’Autorità l’ha votata.

Un “botta e risposta” che accende il dibattito

La replica di Meloni arriva a poche ore dall’affondo della segretaria dem Elly Schlein, che chiede “un segnale forte di discontinuità” e le dimissioni dell’“intero consiglio” dell’Autorità, giudicando “grave” e “desolante” il quadro emerso dall’inchiesta televisiva. Per Schlein, la gestione del Garante sarebbe segnata da conflitti d’interesse e da una “forte permeabilità alla politica”, elementi che minerebbero la fiducia dei cittadini in un organismo nato per garantire diritti fondamentali. Il pressing del Pd trova eco nel M5S, che sollecita un “azzeramento subito”.

Che cosa ha scoperchiato Report

Il detonatore è l’ultima stagione di “Report”, condotta da Sigfrido Ranucci. Tra i passaggi più discussi: il video che ritrae Agostino Ghiglia, uno dei quattro componenti del collegio del Garante, entrare nella sede di Fratelli d’Italia in via della Scrofa alla vigilia della sanzione alla Rai per la messa in onda dell’audio tra l’allora ministro Gennaro Sangiuliano e la moglie Federica Corsini. L’indomani, il 23 ottobre 2025, la sanzione: 150 mila euro, la più alta mai comminata a una trasmissione televisiva per un contenuto giornalistico di questo tipo, secondo le ricostruzioni. L’Autorità ha respinto ogni addebito, rivendicando “piena indipendenza di giudizio” e spiegando che la delibera è arrivata “in linea con la proposta degli uffici”, al termine di un’istruttoria avviata dopo la puntata dell’8 dicembre 2024.

In questo braccio di ferro, “Report” ha portato numeri: oltre 1,7 milioni di telespettatori e il 9,7% di share per la puntata che ha raccontato il “caso Ghiglia”, un picco di attenzione che ha trasformato un tema tecnico in controversia politica nazionale.

La cornice istituzionale: chi elegge il Garante (e per quanto)

Per comprendere la risposta di Meloni, occorre ripartire dalla legge. Il Collegio del Garante è composto da quattro membri, eletti “due dalla Camera e due dal Senato”, con mandato di sette anni non rinnovabile. La procedura prevede una selezione pubblica: candidature pubblicate sui siti istituzionali e curricula accessibili. I poteri e i compiti discendono dal Codice privacy (d.lgs. 196/2003) aggiornato con il d.lgs. 101/2018, in attuazione del Gdpr. Il Garante è un’“autorità di controllo indipendente”, con obblighi stringenti di incompatibilità, riservatezza e terzietà. In sintesi: l’esecutivo non nomina i componenti, né può “azzerarli”. Eventuali cessazioni possono dipendere da atti del Parlamento, da dimissioni dei singoli, o da cause di decadenza fissate dalla legge.

Come si è arrivati all’attuale collegio

L’attuale composizione è del 2020. Allora il Parlamento elesse Pasquale Stanzione (poi presidente), Ginevra Cerrina Feroni (vicepresidente), Guido Scorza e Agostino Ghiglia. Il voto maturò nella cornice politica del governo giallorosso: Stanzione e Scorza furono sostenuti dalla maggioranza guidata da Pd e M5S, mentre Ghiglia proveniva dall’area del centrodestra; tutti e quattro, comunque, furono espressi dalle Camere con votazioni a scrutinio segreto. È questo il punto su cui batte Meloni: se oggi Pd e M5S non si fidano delle loro stesse scelte di allora, non possono chiamare in causa Palazzo Chigi.

Il nodo dell’indipendenza e l’effetto “percezione”

Il cuore del dibattito non è tanto una sentenza del tribunale – che non c’è – ma la percezione di indipendenza. L’Autorità sostiene di aver seguito una procedura lineare: istruttoria tecnica degli uffici, proposta del relatore, e, dopo “ampia discussione”, voto del collegio. Report pone un’altra domanda, anzitutto politica: è opportuno che un membro dell’Authority si rechi nella sede del partito che guida il governo la vigilia di una decisione sensibile per un programma del servizio pubblico? E questo, a prescindere da ciò che si è effettivamente detto in quelle stanze. Ghiglia ha negato qualsiasi interferenza, parlando di un incontro con Italo Bocchino per motivi editoriali e di un saluto informale a Arianna Meloni. L’Autorità ha definito “gravissime” le accuse di eterodirezione e ha ricordato l’autonomia funzionale sancita dal Gdpr e dal Codice.

La pressione dell’opposizione, tra politica e diritto

Le parole di Schlein intercettano una sensibilità diffusa nell’opinione pubblica: le autorità indipendenti devono essere non solo imparziali, ma apparire tali. Ma il passaggio dalla critica politica alla soluzione istituzionale non è scontato. Chiedere l’“azzeramento” dell’Autorità equivale, tecnicamente, a invocare un atto che non rientra nelle prerogative del Governo. Le strade percorribili, al di là di un gesto spontaneo di dimissioni dei singoli componenti, si collocano su due piani: un’eventuale valutazione parlamentare sulla permanenza dei requisiti (dove ne ricorrano le condizioni di legge) oppure una riforma normativa che, in prospettiva, riveda criteri e garanzie delle nomine. Non a caso Meloni, pur respingendo le accuse, ha evocato la possibilità, “se serve”, di discutere una modifica della legge.

Cosa c’è nel merito della multa a Report

Sul merito della sanzione alla Rai per la puntata dell’8 dicembre 2024, il Garante ha richiamato la violazione di alcune disposizioni del Gdpr, del Codice privacy e delle regole deontologiche per l’attività giornalistica. Il punto sensibile è l’audio privato tra Sangiuliano e Corsini, che “Report” aveva trasmesso nell’ambito dell’inchiesta su un presunto sistema di relazioni e media. Nella stessa seduta in cui è stata deliberata la sanzione, l’Autorità – secondo note di stampa – ha dichiarato infondato un reclamo dello stesso Sangiuliano contro altre testate per articoli ritenuti lesivi della sfera privata: un dettaglio che indica come le decisioni non siano per forza univoche né orientate a senso unico. Resta aperto il capitolo del ricorso: la Rai può chiedere al giudice amministrativo l’annullamento o la riduzione della sanzione, facendo valere l’interesse pubblico dell’informazione.

La catena delle date e dei fatti

  • 22 ottobre 2025: Ghiglia viene ripreso in via della Scrofa. L’Autorità, nelle sue comunicazioni, insiste che gli atti decisori seguono il canale formale degli uffici e che le riunioni collegiali si basano su proposte istruite tecnicamente.
  • 23 ottobre 2025: arriva la sanzione da 150 mila euro alla Rai.
  • 26 ottobre 2025: “Report” anticipa il video e le domande sul contesto politico della decisione. L’Autorità ribadisce “piena indipendenza”.
  • 3 novembre 2025: gli ascolti della puntata che rievoca il caso raggiungono 1,7 milioni di telespettatori e il 9,7% di share.
  • 10 novembre 2025: lo scontro si allarga. Schlein chiede l’azzeramento del collegio; Meloni replica che “non spetta al governo” e ricorda la matrice parlamentare della nomina.

Le possibili conseguenze politiche

Per il centrodestra, la linea è: difendere il principio di separazione tra governo e autorità indipendenti, respingere ogni sospetto di pressione e, semmai, aprire a una riflessione sulla riforma delle regole di nomina. Un dossier che tocca non soltanto il Garante privacy, ma l’intero sistema delle autorità (da Agcom all’Antitrust), spesso al centro di polemiche bipartisan in ogni legislatura.

Per il centrosinistra e per il M5S, il fronte è diverso: marcare l’urgenza di un reset che ristabilisca la “terzietà” del collegio, in attesa di verifiche – politiche e, se del caso, giudiziarie – sui comportamenti individuali. La domanda che rimbalza è antica: come si tutela l’indipendenza di un’Authority quando la sua guida è affidata, per definizione, a un voto politico? La risposta, oggi come ieri, non passa per un automatismo, ma per regole robuste, conflitti d’interesse prevenuti e comportamenti irreprensibili.

Il precedente delle nomine 2020 e la memoria corta

Le polemiche di oggi riportano alla memoria una seduta parlamentare di metà luglio 2020, quando Camera e Senato votarono i nuovi componenti del Garante e di Agcom. I numeri di quel giorno raccontano la trama politica: Agostino Ghiglia ottenne 123 voti, Pasquale Stanzione 121, Guido Scorza 237, Ginevra Cerrina Feroni 209. In quell’occasione i renziani non parteciparono per protesta contro un accordo “blindato” nella maggioranza. Oggi la stessa area progressista, cambiato il clima politico, denuncia opacità e chiede discontinuità. È la fisiologia – o la patologia – delle nomine “politiche” in organismi che dovrebbero rimanere terzi.

Che cosa insegna il caso a chi fa informazione

Qualunque giudizio si dia sul comportamento del Garante e sulla correttezza della sanzione, l’episodio riporta al centro un equilibrio delicatissimo: quello tra diritto di cronaca e tutela dei dati personali. La giurisprudenza e i codici deontologici indicano tre bussolotti: interesse pubblico, verità (o veridicità) del fatto, continentezza del linguaggio e dei mezzi. Un audio privato su cui si accende il faro dell’informazione va valutato caso per caso, pesando il valore della rivelazione rispetto alla lesione della privacy. È un’area grigia in cui un’autorità forte e credibile serve quanto un giornalismo responsabile e coraggioso.

Un terreno europeo: il Garante non è un’isola

C’è anche un asse europeo nel dibattito: il Garante italiano è l’“autorità di controllo” prevista dall’articolo 51 del Gdpr e partecipa ai lavori del Comitato europeo per la protezione dei dati. Significa che l’indipendenza e l’effettività del suo operato non sono un affare domestico: incidono sulla reputazione dell’Italia nei meccanismi comuni di tutela dei diritti digitali. In casi di rilievo transfrontaliero, la cooperazione tra autorità è essenziale; per quelli “domestici”, come questo, resta dirimente la fiducia pubblica nel processo decisionale.

E adesso?

Nel breve periodo, due esiti appaiono possibili. Il primo: il collegio del Garante resta al suo posto, respinge con fermezza ogni interferenza e lascia che eventuali ricorsi facciano il loro corso, mentre la politica discute – a freddo – di riforme. Il secondo: uno o più membri, sentendo venir meno le condizioni di serenità dell’incarico, optano per un passo indietro volontario, aprendo a una nuova elezione parlamentare. In entrambi i casi, il punto d’approdo non può che essere uno: trasparenza. Trasparenza sui contatti istituzionali, sui costi e sulle spese dell’Autorità, sulle procedure che portano a sanzioni che incidono sulla libertà d’informazione, sulla motivazione dettagliata dei provvedimenti. Solo così si stempera l’impressione – che è già danno – di una permeabilità alla politica.

Una proposta concreta per il Parlamento

Per non restare al livello dei “massimi sistemi”, il Parlamento potrebbe mettere in agenda tre interventi pragmatici:

  • un registro pubblico degli incontri dei componenti del Garante (con obbligo di pubblicazione entro 48 ore), modellato sui registri di lobbying già esistenti in altre istituzioni;
  • un rafforzamento dei criteri di incompatibilità per l’intera durata del mandato e per un congruo “periodo di raffreddamento” post-incarico;
  • una procedura di audizione periodica in Commissione per una verifica sull’andamento dell’Autorità, sui carichi di lavoro, sulle sanzioni irrogate e sulle spese, con reportistica standardizzata e comparabile anno su anno.

Non basterà a spegnere ogni polemica, ma contribuirà a rimettere in equilibrio due parole chiave che il caso Report-Garante ha di nuovo messo in collisione: indipendenza e responsabilità.