il caso
"25mila euro sono una cifra congrua", niente revenge porn per La Russa jr
Il Gup: "Estinto il reato". Ma la ragazza annuncia il ricorso in appello
Non soltanto l’archiviazione dell’accusa di violenza sessuale. Leonardo Apache La Russa ottiene anche una pronuncia di “non doversi procedere” per “estinzione del reato” nell’altro procedimento per revenge porn, originato dalla denuncia dell’ex compagna di liceo dopo la notte tra il 18 e il 19 maggio di due anni fa. La gup di Milano, Maria Beatrice Parati, ha giudicato “congrua” l’offerta risarcitoria di 25 mila euro presentata dal figlio del presidente del Senato a favore della giovane — somma che lei non ha mai accettato — e, richiamando giurisprudenza indicata dalla difesa, ha dichiarato estinto il reato. Nella stessa udienza la giudice ha condannato a un anno, con pena sospesa, l’amico dj Tommaso Gilardoni, imputato per diffusione illecita di immagini senza il consenso della ragazza e giudicato con rito abbreviato. “Sono contenta perché è stato riconosciuto il fatto e il reato (nel processo a Gilardoni, ndr) e sicuramente impugnerò il provvedimento sulla congruità del risarcimento”, ha dichiarato la giovane, assistita dall’avvocato Stefano Benvenuto. Non incasserà, dunque, i 25 mila euro che la difesa di La Russa jr aveva già depositato con assegno; ricorrerà invece in appello contro quella valutazione.
Il legale osserva che, in casi di diffamazione, i ristori arrivano anche a 50 mila euro. “Al termine di un percorso durato due anni non scevro di sofferenze e di malevoli interpretazioni”, hanno affermato i difensori di Leonardo, gli avvocati Vinicio Nardo e Adriano Bazzoni, “la decisione presa oggi dal gup di Milano di non procedere per il reato di revenge porn” riconosce “la sua narrazione dei fatti sulla consensualità e l’assenza di volontà offensiva, ci conforta e conclude un percorso di giustizia sostanziale nel quale abbiamo sempre creduto”. Già nella scorsa udienza era emerso che la difesa aveva formulato quell’offerta e chiesto l’accesso a un percorso di giustizia riparativa, poi ritenuto non necessario. “Non è un’offerta congrua, c’è stata una lesione di un mio diritto costituzionale”, aveva scritto la giovane in una mail. Contestualmente, il figlio del presidente del Senato aveva inviato alla gup una lettera in cui esprimeva, “in modo sincero”, rammarico per l’accaduto e la volontà di incontrare di nuovo la ragazza per parlarle.
Questo capitolo si chiude dopo l’archiviazione, il 30 ottobre, disposta dalla gip Rossana Mongiardo su richiesta dell’aggiunta Letizia Mannella e della pm Rosaria Stagnaro, dell’imputazione principale di violenza sessuale per la serata trascorsa prima alla discoteca Apophis e poi a casa La Russa. La giudice ha ritenuto la giovane “sincera” quando disse di non ricordare nulla, ma ha escluso abusi perché i due non erano consapevoli che le sue condizioni — dovute all’assunzione di alcol, droghe e farmaci — potessero incidere sul consenso. Nella tranche dedicata al revenge porn, la Procura aveva subordinato la congruità del risarcimento alla giustizia riparativa. Intanto la gup ha condannato Gilardoni, che dovrà versare 7 mila euro di provvisionale alla parte civile, mentre i suoi legali, Luigi Stortoni e Alessio Lanzi, avevano chiesto l’assoluzione.
Secondo l’ipotesi accusatoria, il 19 maggio Leonardo Apache, “dopo averlo realizzato”, avrebbe inviato via WhatsApp a Gilardoni, “ospite presso la sua abitazione”, un video “a contenuto sessualmente esplicito, destinato a rimanere privato”, ritraente la ragazza senza il suo “consenso”. Interrogato nel dicembre 2023, il 22enne ha dichiarato di aver mandato “a Tommaso” quel filmato “per giustificare” l’uscita anticipata dal locale e di aver “chiesto il consenso” alla giovane. A Gilardoni era contestato anche l’inoltro, alcuni mesi dopo, di un altro video a un amico, sempre relativo a quella notte. Le immagini sono state rinvenute sui telefoni durante le indagini della Polizia. “Una storia giovanile — hanno commentato Nardo e Bazzoni — che ci auguriamo possa essere elaborata umanamente così come ha saputo fare Leonardo non solo con la lettera agli atti, ma anche sopportando dolorosamente in silenzio due anni di ingiusto accanimento mediatico e sui social da parte di chi lo dava subito per colpevole di un reato che non ha commesso”. “Quando la voce delle donne vale meno del denaro”, ha commentato Cristina Carelli, presidente D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza. “Ancora una volta — ha aggiunto — il sistema giudiziario non rende giustizia alla donna”.
