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LE TENSIONI INTERNAZIONALI

L'ultimatum della Casa Bianca all'Ue: «Fatevi carico della capacità di difesa della Nato, la civiltà europea rischia la cancellazione»

Un messaggio riservato dagli Stati Uniti mette il Vecchio Continente davanti a una scadenza ravvicinata e a una scelta strategica

Alfredo Zermo

05 Dicembre 2025, 17:38

L'ultimatum della Casa Bianca all'Ue: «Fatevi carico della capacità di difesa della Nato, la civiltà europea rischia la cancellazione»

Una porta che si chiude lentamente a Washington, una cartellina blu consegnata a poche delegazioni europee, e una data cerchiata in rosso: 2027. In quelle carte, secondo più fonti, c’è il passaggio che potrebbe ridisegnare gli equilibri dell’Alleanza Atlantica: gli Stati Uniti hanno chiesto agli alleati europei di prendersi carico della “maggior parte” delle capacità di difesa convenzionali dell’NATO — dall’intelligence alle capacità missilistiche, dalla sorveglianza al comando e controllo — in appena due anni. In caso contrario, Washington potrebbe smettere di partecipare ad alcuni meccanismi di coordinamento della difesa dell’Alleanza. È un ultimatum senza precedenti nel secondo dopoguerra, che ha acceso allarmi su Capitol Hill e ha costretto le capitali europee a fare i conti con un obiettivo giudicato da molti “irrealistico” nei tempi, ma non più rinviabile nella sostanza.

Cosa chiede davvero Washington

Secondo fonti informate, il messaggio del Pentagono è stato recapitato a inizio settimana durante incontri a Washington con più delegazioni europee. La sostanza: entro fine 2027, l’Europa dovrà poter sostenere la maggior parte dello sforzo convenzionale dell’Alleanza. Se non accadrà, gli USA potrebbero ridurre — o interrompere — la loro partecipazione ad alcuni meccanismi di coordinamento della difesa in NATO. Non si parla di articolo 5 né di un’uscita formale, ma di un perimetro operativo molto concreto: pianificazione, standardizzazione, priorità negli investimenti, condivisione di intelligence, interoperabilità. È lì che Washington metterebbe il freno, con implicazioni immediate sulla coesione e sulla prontezza.

Un dettaglio cruciale, notano funzionari europei: al momento non esiste chiarezza su come gli Stati Uniti intendano misurare i progressi europei verso l’obiettivo. Mancano indicatori condivisi su quali “capacità” debbano essere europeizzate più in fretta e con quali milestones intermedie. Proprio l’assenza di metriche ha alimentato perplessità e scetticismo nelle cancellerie del Vecchio Continente.

Il contesto politico a Washington: tra dottrina e polemica

Il messaggio del Pentagono arriva in un clima politico teso negli USA. La nuova Strategia di Sicurezza Nazionale ha lanciato giudizi durissimi sullo stato dell’Europa, paventando persino un rischio di “cancellazione della civiltà” se non cambierà rotta su sicurezza, economia e migrazioni. È un linguaggio che riflette la linea dura dell’amministrazione e che segnala una ridefinizione delle priorità strategiche americane. In parallelo, esponenti repubblicani e democratici hanno espresso timori verso possibili riduzioni della presenza militare USA in Europa o cessioni di ruoli-chiave nell’Alleanza, a partire dal comando SACEUR. Il Congresso rivendica il “potere della borsa” e chiede di essere coinvolto in qualsiasi ristrutturazione dell’architettura militare all’estero.

Sullo sfondo, la posizione del presidente Donald Trump su NATO e spesa per la difesa: il capo della Casa Bianca rivendica di aver spinto gli alleati a concordare un nuovo obiettivo di spesa al 5% del PIL entro il 2035, un salto epocale rispetto al vecchio 2%. Una cornice politica che rende coerente — seppur istituzionalmente controverso — l’ultimatum sul 2027: più soldi e, soprattutto, più capacità europee “qui e subito”.

Perché il 2027 è una scadenza così difficile

La richiesta americana tocca nervi scoperti. Anche dopo l’impennata degli investimenti post-2022, l’Europa resta dipendente dagli USA in aree critiche: intelligence, sorveglianza e ricognizione (ISR); difesa aerea e missilistica multistrato; rifornimento in volo; mobilità strategica (trasporto pesante aereo e navale); munizionamento a lungo raggio; comando, controllo e comunicazioni sicure. Colmare questi gap in due anni significa accelerare come mai prima la produzione industriale, allineare standard, liberare risorse di bilancio e superare colli di bottiglia regolatori. Non basta aumentare la spesa: serve che ogni euro in più si traduca in capacità dispiegabili, munizioni sugli scaffali, batterie di difesa aerea operative, equipaggi addestrati. Funzionari europei coinvolti nei colloqui giudicano “non realistico” il 2027 come orizzonte pienamente sostitutivo delle funzioni americane più pregiate.

Che cosa sta facendo l’Europa

Il salto di spesa è reale: nel 2025, per la prima volta, tutti i 32 alleati NATO hanno centrato — o superato — il vecchio target del 2% del PIL. La media dell’Alleanza è salita al 2,76%, mentre Europa e Canada insieme hanno raggiunto circa il 2,27%. Polonia guida la classifica europea, attorno al 4,48%, seguita dalle Baltiche. Ma solo pochi Paesi sono vicini al nuovo livello di 3,5% per la componente strettamente militare.

Al vertice dell’Aia di giugno 2025, gli alleati hanno adottato il traguardo politico del 5% entro il 2035 (con circa 3,5% per la difesa e 1,5% per resilienza, infrastrutture critiche e innovazione). Una svolta che impone piani annuali credibili e un controllo stringente dei risultati.

Sul piano operativo, l’Alleanza ha aggiornato gli “obiettivi di capacità” per colmare i gap in difesa aerea, artiglieria, missili a lungo raggio, droni e logistica: uno sforzo che si misura in contratti firmati, linee produttive attivate e scorte ricostituite. Restano dubbi sul ritmo con cui l’industria europea potrà consegnare, date le catene di fornitura ancora tese.

L’avvertenza implicita sugli strumenti di coordinamento NATO

Minacciare di ritirarsi da “alcuni meccanismi di coordinamento” non equivale a mettere in discussione il Trattato del Nord Atlantico, ma tocca il tessuto vivo dell’interoperabilità: gruppi di pianificazione, comitati standard, strutture di comando integrate, scambio di intelligence, procedure comuni. Un disimpegno americano in queste sedi renderebbe più difficili le esercitazioni congiunte, la definizione delle priorità d’acquisto, la condivisione dei dati sensibili. In pratica, rischierebbe di rallentare le stesse capacità europee che si vorrebbe accelerare. Ecco perché, su Capitol Hill, filtrano segnali di preoccupazione bipartisan: il Congresso teme un effetto boomerang sulla deterrenza, soprattutto mentre la guerra russa contro l’Ucraina continua a bruciare mezzi e munizioni a un ritmo elevato.

Una NATO più europea? Opportunità e paradossi

Il progetto di “europeizzare” la difesa convenzionale dell’Alleanza non è nuovo. Da Parigi a Berlino, passando per Varsavia e le Baltiche, l’idea di una autonomia strategica maggiore ha avuto fortune alterne. Oggi, tuttavia, l’urgenza imposta dagli USA potrebbe trasformare un dibattito spesso accademico in un’agenda operativa. Il paradosso è evidente: per diventare più autonoma, l’Europa dovrà contare — ancora per anni — su know-how, tecnologie e abilitazioni che restano largamente americani. La transizione richiederà trasferimenti, coproduzioni, programmi comuni e, soprattutto, tempi di realizzazione che raramente coincidono con le scadenze politiche.

L’effetto Ucraina e il nuovo equilibrio dei costi

La guerra russa contro Kiev è la lente che ingrandisce ogni lacuna. Nel 2025 gli alleati europei hanno incrementato ulteriormente i contributi coordinati tramite liste prioritarie (PURL), con partecipazione anche di partner del Pacifico. Ma la domanda di sistemi Patriot, intercettori e munizioni resta superiore all’offerta. Perfino i recenti annunci su forniture “via NATO” interamente pagate dall’Alleanza riflettono un ripensamento del burden-sharing: più Europa alla cassa e più Europa alla catena di montaggio.

Numeri alla mano: non solo 2%, ma capacità concrete

Oggi la spesa complessiva NATO è cresciuta in media al 2,76% del PIL; Europa+Canada al 2,27%. Gli USA restano il singolo contributore dominante, con una quota di spesa attorno al 3,22% del proprio PIL e un budget vicino a 980 miliardi di dollari nel 2025.

Solo tre alleati europei — Polonia, Lituania, Lettonia — hanno raggiunto o superato la nuova asticella del 3,5% per la difesa “dura” nel 2025. È qui che si capisce perché il 2035 per il 5% sia stato definito “compromesso politico” e perché il 2027 operativo appaia, oggi, un traguardo di corsa in salita.