Cibo & tradizioni
Catania saluta la sua tavola più longeva: "La Siciliana" verso una nuova mano
Vito e Salvo La Rosa: «Per 58 anni l’identità è stata la nostra bussola e la cucina il nostro secondo respiro»
I fratelli Salvo e Vito La Rosa
Hanno attraversato indenni mode gastronomiche, crisi economiche e perfino una pandemia. Immobili nella forma, ma vivi nelle radici. Il 13 dicembre 2025 “La Siciliana”, il ristorante più longevo di Catania compirà 58 anni e sarà forse l’ultimo compleanno firmato dai fratelli Vito e Salvo La Rosa, i quali hanno deciso di “passare la mano” di un’attività di successo nata dalla visione del vulcanico papà Giuseppe, il quale in questo locale da sessanta coperti sulla Circonvallazione di Catania, seppe riconoscere un destino che solo gli occhi degli ostinati sono in grado di vedere. Qui ha inventato tutto lui, dall’iconica ruota di carretto girevole all’ingresso, agli appendiabiti in ferro battuto, alla ricetta simbolo del “Ripiddu nivicatu”.
Oggi Vito La Rosa, 76 anni, è lo chef, il fratello Salvo, 70 anni, è il responsabile della sala. Sono loro l’anima di un luogo che non ha mai tradito se stesso: nei profumi, negli arredi, nell’atmosfera.
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Da dove partono le radici del ristorante?
Vito: «La storia comincia con nostro nonno materno, Nicolò Delia. Era un “caporale”, portava gruppi di donne nelle campagne dove si raccoglievano le arance. A Sferro c’era una putìa, dove si mangiava e si commerciava di tutto e lì mia nonna, con le figlie – tra cui nostra madre Emilia Delia – iniziò a cucinare per chi lavorava in campagna. Era una cucina povera ma piena di dignità. Quelle donne venivano anche da Messina, che ancora soffriva le conseguenze del terremoto del 1908». Salvo: «Poi l’attività si spostò ad Acireale, vicino al pastificio Leonardi e, successivamente, a Piano Tavola. Lì la mamma conobbe nostro padre, Giuseppe La Rosa. Si sposarono, e papà – uno che non si fermava davanti a nulla – rilevò l’attività. Comprò un terreno, costruì un locale e iniziò l’attività di ristorazione. Era il 1955».
Quando è entrata la cucina nella vostra vita?
Salvo: «Presto, 6-7 anni, d’estate mentre gli altri facevano le vacanze, noi facevamo i lavapiatti. Nella nostra famiglia nessuno è mai rimasto senza fare la propria parte». Vito: «Nessuno ci ha obbligato, ma studiare non ci piaceva, al contrario delle nostre sorelle, e a casa i parassiti non erano contemplati. Eravamo cinque fratelli: tre maschi e due femmine, Caterina e Grazia. Poi ognuno ha trovato il suo posto: io ai fornelli con Salvo, nostro fratello Ettore - che oggi non c’è più - era un portento con i clienti e quindi stava in sala».
Come siete arrivati alla Circonvallazione di Catania?
Vito: «Papà capì che la nuova strada di “scorrimento veloce” avrebbe tagliato fuori Piano Tavola dal passaggio di automobilisti e, quindi, di clienti. Così, trovò questo locale e il 13 dicembre 1968 ci trasferimmo qui in affitto e, da allora, siamo stati sempre qui». Salvo: «Comunque dal ’68 al ’72 gestivamo contemporaneamente sia questo locale che quello di Piano Tavola».
L'inaugurazione del ristorante il 13 dicembre 1968, Emilia Delia, il marito Giuseppe La Rosa, la madrina sig.ra Aricò
Come andò l’impatto con Catania?
Vito: «All’inizio male, i clienti non arrivavano. Avevamo un cuoco “alberghiero” si chiamava Corsaro, bravo, ma non corrispondeva alla nostra impronta, non era una cucina personalizzata come avremmo voluto». Salvo: «Abbiamo cambiato 7-8 cuochi prima di fare da soli. Cercavamo un’identità nostra».
E quand’è successo?
Vito: «Nel 1970, finito il militare io scelsi di restare qui a rimboccarmi le maniche e presi le redini della cucina». Salvo: «Abbiamo rivoluzionato la cucina: niente preparazioni anticipate, niente basi comprate, niente pasta precotta come si usava allora, tutto espresso. E siamo stati pionieri. Per fare un esempio alla fine degli Anni Ottanta nessuno conosceva la rucola. Noi la facevamo arrivare da Milano con un camion che trasportava le arance al Nord. Poi recuperai anche dei semi e convinsi - non senza fatica - un ortolano a piantarla. Cominciammo a fare insalata di gamberetti e rucola, tagliata con la rucola… Ne vendemmo a tonnellate».
Il vostro piatto simbolo, il “Ripiddu nivicatu”, quand’è nato?
Vito: «Nel 1974 e fu un’altra idea di mio padre. In fondo era un assemblaggio semplice ma identitario: il riso al nero di seppia, la ricotta fresca – un richiamo alla ricotta salata – la forma dell’Etna e lo “spruzzo” di salsa come la lava. Fu un successo».

Il periodo d’oro?
Salvo: «Dal 2006 al 2008. Poi con la crisi americana della Lehman Brothers, è iniziato il calo. La pandemia poi è stata devastante. Non era mai successo che il 31 dicembre, fossi a casa con mia moglie e mio figlio. Chi aveva mai trascorso le feste a casa? È stato uno shock».
Non avete cambiato mai nulla, siete sui social giusto per dovere, non postate video in cui spadellate, non fate parte del circo dei gastrofighetti... Qual è il vostro segreto per restare a galla?
Salvo: «La nostra forza è stata l’identità e la coerenza. Cambiare? Se lo fai devi farlo entro i primi 30 anni di attività, dopo che senso ha?». Vito: «La costanza nella cura dei prodotti, l’onestà nei prezzi, la serietà. Il cliente lo puoi fregare una volta sola».
C’erano clienti che venivano una sera con l’amante e l’altra con la moglie. Verità o leggenda?
Salvo: «Diciamo che capitava». Vito: «Il re delle gaffe era nostro fratello Ettore. Una volta c’era a cena un avvocato con la moglie e lui gli disse “Avvocato, poi le faccio vedere le foto dell’altra sera!”. Peccato che quella sera fosse con l’amante, e quel giorno con la moglie…».
È vero che volete andare in pensione e vendere l’attività?
Vito: «Sì. Nessuno dei nostri figli vuole fare questo mestiere. E li capiamo». Salvo: «Però se vogliamo rispettare ciò che la nostra famiglia ha costruito in tutti questi anni, dobbiamo trovare qualcuno che continui con la stessa cura».

L’avete già trovato?
Salvo: «Qualcuno ci ha fatto delle offerte, ma se non ci dà garanzie sulla continuità preferiamo aspettare».
Cos’è per voi la cucina?
Vito: «La metà della nostra esistenza, la prima è l’amore, la seconda la cucina».
Lo staff de "La Siciliana" al completo
Avete trascorso più vita dentro queste mura che a casa vostra. Lo rifareste?
Vito: «Sì, perché ci ha dato tante soddisfazioni. Mettere su famiglia, avere una certa visibilità in città e commenti quasi sempre lusinghieri da parte dei clienti. Ci abbiamo messo sempre la faccia, in prima persona. Non siamo mai stati “principali do’ casciolu...” come si diceva una volta». Salvo: «Pure io lo rifarei, ma se tornassi al 1968. Oggi questo lavoro non lo vuole fare più nessuno, almeno per come lo intendiamo noi. Molti locali aprono solo la sera, chi cucina trova la spesa già fatta da altri, è un’attività fatta in maniera diversa, noi siamo stati sempre all’interno del ristorante e ci siamo occupati in prima persona di tutto».
Cosa vi sentite di dire ai vostri clienti storici?
Vito: «Di avere indulgenza con chi verrà dopo, non potrà essere proprio la stessa cosa».
E come immaginate il momento in cui vi chiuderete alle spalle la porta del vostro ristorante?
Vito e Salvo all’unisono: «Come un brutto giorno. Molto brutto». Salvo: «Ma è inevitabile, è il ciclo della vita. Tutte le cose hanno un inizio e una fine».