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Società e cultura

«Presi nel 1968 a Brucoli da militari infedeli e poi nascosti e venduti»

IL GIALLO DEI BRONZI DI RIACE. Un settimo testimone rivela: recuperati all’insaputa della Marina conservati nella zona dell’Adonai e poi ceduti ai clan calabresi. Erano tre guerrieri e c’era altro ancora.

10 Ottobre 2025, 12:31

«Presi nel 1968 a Brucoli da militari infedeli e poi nascosti e venduti»

Aprono nuovi scenari sul possibile ritrovamento dei Bronzi di Riace a Brucoli nel 1971 le rivelazioni di un nuovo testimone, il settimo, forse il più importante, poiché, sarebbe un testimone diretto del recupero delle statue.
Prima di dargli voce, però, è necessario fare il punto sulle indagini che ci hanno portato sulle tracce dei testimoni di questo autentico vaso di Pandora, che si sta sempre più scoperchiando. Già nel 1988 l’archeologo americano Holloway fu il primo a rivelare che i Bronzi di Riace sarebbero stati trovati nel mare siciliano e poi nascosti nei fondali di Riace da archeotrafficanti che avrebbero dovuto venderli all’estero, prima della loro riscoperta in Calabria nel 1972. Una rivelazione ripresa dalla sua collega americana A.M. McCann, che fu la prima a sostenere che le statue provenissero da Siracusa e rappresentassero i Dinomenidi.

Ma le rivelazioni di Holloway rimasero inascoltate per anni, finché, nell’estate scorsa un nuovo testimone, il “signor Enzo”, già confidente del boss che avrebbe organizzato il trafugamento delle statue in Calabria, ha raccontato a giornali, tv e carabinieri del Tpa nuovi particolari: i due guerrieri di Riace sarebbero stati scoperti nel 1971 nei fondali di Brucoli insieme ad un terzo guerriero, ad altre due statue e a due leoni.

Da allora l’indagine giornalistica de La Sicilia attraverso altri cinque testimoni: l’anziano sub, “Pippo” di Siracusa, i fratelli Marco e Mimmo Bertoni (figli del mitico titolare del ristorante Trotilon di Brucoli) e il signor A.O. di Augusta (che ha raccontato come la foto di uno dei Bronzi di Riace, ancora ricoperto da concrezioni, fosse stata esposta negli anni ’70 al Trotilon). Ma un sesto testimone ha di recente fornito una versione che appare un po’ modi - ficare i precedenti racconti. Secondo l’ex sub augustano Mimmo Trigilio, che ha 89 anni e vive in Venezuela, la notizia della presenza delle statue nei fondali di Brucoli sarebbe circolata negli ambienti dei sommozzatori fin dal 1968 e il loro recupero sarebbe avvenuto prima del 1971. La spiegazione di questa apparente incongruenza sembra adesso fornirla proprio il settimo testimone, il più importante finora, in quanto testimone diretto del recupero delle statue. Si tratta di un ex sub, oggi quasi ottantenne, che all’epoca dei fatti si trovava ad Augusta per lavoro. La sua testimonianza fa molta più luce sull’intera vicenda.

«Nel 1971 le statue furono solo vendute e trasferite in Calabria - racconta Franco B. - ma erano state recuperate a Brucoli tre anni prima a nord-est di Punta Tonnara».

Dunque nel 1968! E chi le avrebbe recuperate? I corallari? «No. Furono recuperate da due esperti sommozzatori allora in servizio al nucleo Sdai della Marina militare di Augusta, il nucleo di sub specializzati nel recupero di bombe e di mine ad alta profondità. Erano due sottufficiali calabresi, di straordinaria capacità, uno di Gioia Tauro e l’altro di Reggio Calabria. Ovviamente erano degli “infedeli”, cioè agirono clandestinamente all’insaputa dei vertici della Marina».

Come si chiamavano? «Non so nemmeno se sono ancora vivi. Ricordo i nomi dei due colleghi che li aiutarono. Uno era il sergente F. di Viareggio e l’altro il maresciallo G. di Cagliari, allora entrambi in servizio alla Marina. Si servirono di un pontone, una sorta di chiatta trainata da un rimorchiatore, dotata di gru e argano a motore, che si fecero prestare dai Cantieri Navali. I due sub calabresi quindi scesero giù con gli strumenti della Marina militare, li staccarono delicatamente da un fondale di circa 70 metri, li imbracarono ai cavi della gru, e i loro complici li tirarono su».

E come fecero a realizzare tutto questo quasi alla luce del sole, senza suscitare sospetti? «Immagino che simularono il recupero di una bomba in fondo al mare, facendo interdire ai naviganti lo spazio delle loro operazioni. In fondo era proprio il loro mestiere».

Tutto questo lo ha visto coi suoi occhi? Perché si trovava lì in quel momento? «Ero lì per motivi di lavoro e preferisco non dire altro. Ho visto tutto da una barca distante una decina di metri dalla chiatta. Vidi le sagome delle statue completamente ricoperte da fango. I guerrieri armati erano tre, ma c’era anche tanta altra roba. Allora ovviamente non potevo sapere che si trattasse dei Bronzi di Riace. Lo seppi solo qualche anno dopo, da un amico calabrese che mi portò a vederli al museo. E li ho riconosciuti».

Dopo il recupero cosa fecero i sommozzatori? «La notizia circolava da tempo e ci fu una specie di caccia al tesoro. Loro giocarono d’antici - po. Ma ebbero paura di essere scoperti, e così li fecero nascondere».

Dove? «I bronzi vennero nascosti dentro alcune barche militari e portati via mare in una grotta in fondo al canale di Brucoli, nell’antico lavatoio. Poi furono spostati più volte per far perdere le tracce. Prima furono sepolti non lontano dal convento dell’Adonai e poi, per sfuggire ai controlli, furono riportati in mare e sepolti lì vicino, in un fondale di circa 20 metri di profondità, dove restarono a lungo. Quindi i sommozzatori calabresi contattarono personaggi della malavita calabrese e riuscirono a vendergliele. Le statue furono di nuovo tirate su e l’indomani furono imbarcate per la Calabria. Ma le operazioni vennero condotte con coperture politiche importanti».

Dunque, la testimonianza di Mimmo Bertoni, secondo cui le statue nel 1971 furono recuperate e nascoste per una notte al Trotilon, sarebbe riferibile al secondo recupero dei bronzi? «Certo. Suo padre era il titolare del Trotilon e sapeva tutto».

Come mai non lo ha raccontato prima? «Perché? Lei lo avrebbe fatto al mio posto? Anche adesso ho paura e non voglio figurare ufficialmente. Questa storia lì ad Augusta la conosco in tanti negli ambienti dei sub anziani. Ma non è facile raccontarla».
Fin qui il signor Franco. Ma c’è anche un ottavo testimone…