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L'inchiesta

Sicilia saccheggiata, «pesca» e «mare grande»: il linguaggio in codice dei tombaroli

Scoperte decine di scavi clandestini e vendite illecite nelle case d’aste d’Europa. Nel "casotto" di Belpasso le intermediazioni dei trafficanti d'arte

Laura Distefano

23 Novembre 2025, 06:00

Sicilia saccheggiata, «pesca» e «mare grande»: il linguaggio in codice dei tombaroli

A «pesca» di reperti archeologici. Usavano una terminologia legata al «mare» i tombaroli che hanno saccheggiato i parchi archeologici siciliani. Sono 74 gli indagati coinvolti in un traffico internazionale di reperti, soprattutto monete di epoca romano‑imperiale ed ellenica, scoperchiato grazie a una lunga e articolata indagine condotta dal Nucleo Tutela Patrimonio Culturale dei Carabinieri di Palermo, sotto il coordinamento del procuratore aggiunto di Catania, Fabio Scavone. I detective dell’arte hanno piazzato cimici, telecamere, analizzato documenti, aste bandite nelle capitali europee. E alla fine hanno ricostruito, in un’informativa di 1700 pagine, la «filiera» del lucroso traffico di preziosi antichi. E hanno così scoperto almeno tre gruppi di tombaroli, perlopiù di Paternò (cittadina nel catanese che vanta una tradizione in questa attività illecita) che hanno effettuato decine e decine di scavi clandestini a Kamarina nel Ragusano, a Himera nel Palermitano, a Megara Hyblaea nel Siracusano, fino a Scolacium a Roccelletta di Borgia nel Catanzarese.

Ora la procura ha chiesto le misure cautelari per 55 indagati (tra carcere, domiciliari e obbligo di presentazione alla p.g.). Da martedì a sabato prossimo ci saranno gli interrogatori preventivi davanti alla gip Simona Ragazzi, che dovrà valutare se accogliere o meno l’istanza dei pm contenuta in una richiesta di quasi mille pagine dove si contano più di 200 capi d’imputazione. Numeri da capogiro per un’inchiesta che arriva fino a Londra, a Monaco di Baviera e Vienna — metropoli dove sono avvenute le vendite di monete antiche rivendute dai ricettatori che hanno fatto gli acquisti dai tombaroli.

Sono state cristallizzate tre organizzazioni specializzate in scavi archeologici illegali, con una competenza e conoscenza (tramandata da generazione in generazione) da far invidia a un archeologo. Il primo gruppo sarebbe stato «capitanato» da Michele Consolato Nicotra, con i tombaroli Adriano Nicotra, Francesco Salvia, Salvatore Palumbo e Salvatore Cavallaro. Quest’ultimo figlio d’arte: il padre, che gli ha trasferito il know‑how, è uno dei più conosciuti «nel campo criminale» a Paternò. E se con «pesca» si indicava lo scavo, la «canna da pesca» invece era il metaldetector. C’erano nomi in codice anche per i siti da saccheggiare: «Mare grande» ad esempio era Eraclea Minoa di Cattolica Eraclea, «Lenze» era Himera a Termini Imerese. Il secondo gruppo di tombaroli avrebbe avuto come capi Filippo Asero e Santo Sambataro. E, infine, il terzo gruppo avrebbe avuto come leaders Leandro Insolia e Giuseppe Esposito.

Ma alcune volte i tombaroli dimenticavano i linguaggi criptici e discutevano senza freni. «Minchia ho preso una boccola al fondo, ceramica nera... ho preso una patacchia tutta scoppia, una greca e una amica nera fina, un oggettino, un pizzillo», diceva uno degli indagati. Che poi si lamentava dello scarso valore dei reperti trovati in uno degli scavi clandestini: «Ma può essere che non escono mai d’argento, un bauletto, un quattro grammi».

Una volta smascherati i gruppi di tombaroli, i militari del Tpc hanno voluto andare fino in fondo. La chiave di volta è arrivata quando hanno deciso di installare una telecamera a casa di Pietro Tomasello a Belpasso. E così hanno scoperto che la depandace, chiamata «casotto» dagli investigatori, sarebbe stata una vera e propria base logistica e di intermediazione del traffico di reperti archeologici. Una «casa d’aste» fai da te.

La terza fase investigativa era quella della compravendita dei beni archeologici depredati nei parchi e nei terreni siciliani. La pancia dell’isola è piena di tesori nascosti. «Allora sono sempre tutte queste case d’asta affamate di materiale, perché è con quello che loro guadagnano quindi... capisci?», così parlava uno degli indagati. Conversazioni che sono diventate la bussola per gli investigatori. E così sono stati documentati contatti con noti trafficanti internazionali, che sono riusciti a far «battere» in case d’aste di fama molte delle monete antiche «trovate» dai tombaroli paternesi. Formidabile riscontro alle indagini è stata una perquisizione eseguita nell’estate del 2022 da parte della polizia tedesca. Due degli indagati sono stati fermati mentre trasportavano reperti archeologici siciliani in Germania.