×

La doppia intervista

Il procuratore Ardita: «41bis? Un sistema che ha le ore contate»

Il magistrato catanese ha una forte esperienza all'interno del Dap. Rita Bernardini di Nessuno Tocchi Caino: «Costituzione sospesa»

Laura Distefano

13 Novembre 2025, 13:07

13:29

Bufera Csm, nome Ardita in intercettazioni: pm catanese additato come "talebano"

Sebastiano Ardita

Il regime penitenziario previsto dall’articolo 41 bis fu introdotto nel 1986. Nella sua essenza aveva la temporaneità di controllare possibili spifferi dal carcere. Ma poi, dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio del 1992, fu allargato ai detenuti per mafia. I siciliani sottoposti al “carcere duro” sono nell’ordine delle centinaia. L’applicazione è subordinata a un decreto firmato dal Ministro della Giustizia, che valuta le proposte che arrivano dagli organi investigativi antimafia. Il dibattito (politico e giuridico) sul regime più severo di reclusione è molto acceso.

Abbiamo voluto affrontare il tema con il procuratore aggiunto di Catania, Sebastiano Ardita, che conosce bene il mondo delle carceri per aver lavorato diversi anni al Dap.
Il regime dell'ordinamento penitenziario previsto dall'articolo 41bis è uno strumento efficace nella lotta alla criminalità organizzata?
«Lo è stato per molto tempo, quando serviva realmente a impedire il contatto dei personaggi vertice della criminalità mafiosa con l’esterno. E di fatto lo è ancora, perché - pur nel totale degrado della sicurezza penitenziaria -, le sezioni che ospitano i detenuti sottoposti a questo regime, quantomeno consentono di impedire che essi commettano reati dal carcere. Ma rimane un sistema penitenziario con le ore contate, perché esiste nel paese una sensibilità politica trasversale, opposta al sentimento comune dei cittadini, che tende a vanificare l’esperienza penitenziaria. Sia con riguardo l’obiettivo della sicurezza che rispetto a quello della rieducazione. La cosa più grave è che esiste una quantità di opinionisti, politici e pensatori, che si scandalizzano nell’immediatezza della commissione dei reati ma, quando vengono individuati i colpevoli, solidarizzano con questi ultimi a prescindere. C’è un meccanismo di identificazione della classe dirigente con la condizione degli indagati che appare a volte disarmante».

Qualche tempo fa addirittura c'erano cortei di piazza per l'abolizione del 41bis, qualcuno lo ritiene anticostituzionale. Ma, le inchieste lo dimostrano, non sempre il carcere riesce a fermare le attività illecite di un mafioso o di un criminale. Come si può arrivare a un equilibrio?
«L’equilibrio nel nostro Paese lo ha spesso determinato l’emergenza. Non siamo stati mai capaci come nazione di prevedere e contrastare anzitempo un fenomeno criminale; e poi di programmare un trattamento sistematico dei reclusi che consenta loro di cambiare la propria vita. Ci siamo sempre mossi dopo un omicidio eccellente, dopo una strage, dopo una crisi di Stato. E una volta cambiata prospettiva, celebrati processi e ottenute le condanne, pensiamo di avere vinto per sempre il contrasto alla mafia o al terrorismo. Senza una misura costante dell’impegno istituzionale per la sicurezza dei cittadini e per la rieducazione dei condannati, siamo costretti ogni mattina a svegliarci con una novità alla quale diamo il carattere dell’emergenza, senza cercare di capire da quale errore istituzionale essa sia stata generata. Cerchiamo le responsabilità dei misfatti dopo anni e chiudiamo gli occhi di fronte agli errori ed alle responsabilità evidenti che si consumano sotto i nostri occhi ogni giorno».



Abbiamo sollecitato anche Rita Bernardini, presidente dell’Associazione Nessuno Tocchi Caino.
Lei ha avuto la possibilità di vedere come vivono i detenuti sottoposti al regime del 41 bis. In un’intervista, una volta, lo ha definito “tortura democratica”. Ci spiega?
«La Costituzione è sospesa, questo regime va contro la finalità del reinserimento sociale della reclusione. Al detenuto è negata ogni diritto all’affettività, ai rapporti umani, al lavoro. Diventano più cattivi di prima. Se l’obiettivo di questo sistema è quello di evitare che persone appartenenti alla criminalità organizzata continuino a dare ordini e che continuino a fare i loro affari, allora con le moderne tecnologie si possono trovare altre soluzioni. L’unica possibilità in termine di rieducazione che viene concessa ai detenuti al 41bis è quella di poter studiare. Ma anche sui libri ci sono limitazioni. Sono sospesi i diritti umani fondamenti nei confronti di chi, va ricordato, è anche in attesa di giudizio. Quindi è leso un altro diritto della Costituzione: che è quello della presunzione di innocenza. Era stata pensata come misura temporanea, ma invece di proroga in proroga è una misura stabilizzata nel nostro Paese».