L'intervista
Famà, trent'anni fa l'omicidio. La figlia Flavia: «Ricordare mio padre non per come è morto, ma soprattutto per come ha vissuto»
«Dopo il processo lasciai la Sicilia», racconta. «Domani con l'intitolazione della piazza a Catania faremo memoria concreta». E non nasconde l'amarezza per il caso della stazione di Piano Tavola.
Trent'anni è una vita intera. A Flavia Famà hanno strappato il cuore nel 1995. Le hanno negato la possibilità di avere l'amore di un padre con cui condividere sogni, speranze, traguardi e anche sconfitte. Serafino Famà fu ammazzato il 9 novembre: era sera. I killer agirono nel buio. Lo freddarono mentre andava a prendere l'auto. Con lui c'era un giovane collega, Michele Ragonese. La giustizia dei tribunali ha emesso una sentenza di condanna nei confronti di killer e mandanti. Ma questo non può bastare. Soprattutto a una figlia.
Trent’anni senza papà. Come si riempie questo vuoto?
«Questo vuoto non si riempie e probabilmente non si riempirà mai. È un vuoto con il quale bisogna imparare a convivere. Si sopravvive sentendo sempre quella mancanza, quel pezzettino che manca dentro di te».
Serafino Famà la toga l’aveva tatuata addosso. Oggi l’avvocatura ha lo stesso spirito di servizio verso la legge che aveva suo padre?
«Spero di sì, spero che l'avvocatura abbia imparato anche dalla storia di mio padre a fare in modo che la toga resti immacolata qualsiasi sia la persona che si ha davanti»
Quando c’è stata la sentenza e ha scoperto la verità processuale del delitto. Cosa ha pensato?
«Non è che avere degli esecutori materiali e dei mandanti ti restituisce o ti lenisce il dolore. Io quando è finito il processo me ne sono andata e ho lasciato la Sicilia. Mi è sembrata sicuramente una cosa folle. Mi ricordo durante l'udienza la scena di questi uomini dentro le gabbie rilassati come se stessero al bar con gli amici, mentre invece stavano per essere ascoltati per raccontare quello che avevano fatto».
Questa città è riuscita a onorare come merita l’avvocato Famà?
«La città, a fatica, devo dire sta riuscendo a onorare la memoria di mio padre. Domenica verrà inaugurata la piazza alla presenza del sindaco e di tutte le autorità e sarà un modo concreto per ricordarlo. Però è stato un lavoro lungo e impegnativo. Inizialmente, all'epoca, il sindaco Enzo Bianco, il presidente della Provincia Nello Musumeci e il presidente della camera penale Enzo Trantino presero una posizione fortissima. Infatti la prima targa fu messa un mese dopo sul luogo del delitto e già c'era scritto "qui è stato barbaramente ucciso per mano mafiosa". All'inizio è come se ci fosse stata una forte spinta, poi man mano ho percepito un po' di fatica».
Quale significato vuole dare a questo trentennale?
«Il significato del trentennale è capire qual è l'eredita della memoria di mio padre. Perché dopo trent'anni è importante ricordare mio padre non soltanto per come è morto, ma soprattutto per come ha vissuto. Per la passione, la curiosità che aveva in tutte le cose che faceva, il suo rigore morale, la sua attenzione allo studio, il fatto che gli piacesse lo sport. Secondo me è importante trasmettere dei valori sani. E cioè che è importante non piegarsi, ma anche non voltarsi dall'altra parte».
L’esercizio della memoria può essere strumento di cambiamento?
«La memoria è sicuramente lo strumento per il cambiamento. Senza memoria, senza la possibilità di poter partire dalla propria storia non si può assolutamente costruire un futuro dignitoso, un futuro diverso. Questo è il motivo per cui noi familiari ci spendiamo tanto andando a incontrare gli studenti e ad organizzare iniziative che coinvolgano i giovani. Noi pensiamo che l'esercizio della memoria sia la base per costruire qualcosa di migliore. Questo trentennale è molto importante perché bisogna vedere come è Catania oggi. E, infatti, sarà il tema del nostro incontro di domenica: quali erano le condizioni anche sociali che c'erano nella Catania degli anni Novanta e come è Catania adesso. Cosa abbiamo imparato e fatto per migliorare la società. Se Catania finalmente vedrà l'inaugurazione del piazzale, ciò non può dirsi per Piano Tavola. Paradossalmente nei luoghi dell'infanzia di mio padre, dove è cresciuto e dove abitualmente si recava per trovare amici e parenti non si fa alcun tipo di memoria e nessuna iniziativa è stata portata avanti. Peraltro è stata negata la mia richiesta di intitolare la fermata della metropolitana. Io ho chiesto mantenete la piazza e mantenete l'intitolazione della metropolitana proprio come mezzo per tramandare la memoria. Questa cosa mi è stata negata da tutte le autorità che ho interpellato: il sindaco di Belpasso, Fce, Ministero delle Infrastrutture. Quest'ultimo mi ha risposto: mi dispiace, non è competenza di questo ministero. Dicono che deve avere il nome della località, ma chiaramente si può mettere Piano Tavola piazza Serafino Famà, anche per far capire alle persone in che punto di Piano Tavola sono. Io credo che questo sia un segnale molto brutto. A me non servono passerelle o pacche sulle spalle quando ci sono le grandi autorità presenti e quando ci sono gli anniversari. Le memorie si costruiscono nel quotidiano».
In un post di qualche giorno fa ha scritto “Da giorni e notti ascolto la tua voce nelle assemblee, nei processi e nelle interviste”. C’è qualcosa in questo lavoro di “riascolto” che l’ha colpita?
«In un'assemblea della camera penale del 1994 mio padre dice: “la legalità si costruisce nel quotidiano”. Io credo che anche la memoria vada preservata e costruita nel quotidiano, facendola diventare parte integrante di quella che poi è la storia e la cultura di un Paese».