La sentenza
Gela, non gli vengono "tagliati" i debiti contratti per ludopatia: «Condotta irragionevole e negligente»
La Corte d’appello di Caltanissetta ha “bocciato” la richiesta avanzata dall’uomo dopo l'avvio di un percorso di riabilitazione

È una sentenza destinata a fare giurisprudenza quella emessa dalla Corte d’Appello di Caltanissetta che ha negato ad un gelese affetto da ludopatia l’omologazione del piano di ristrutturazione dei debiti. Il principio su cui si basa la sentenza, che circola in vari siti specialistici, è che la dipendenza dal gioco d’azzardo, pur essendo una patologia riconosciuta, non esclude automaticamente la «colpa grave» di chi continua consapevolmente a indebitarsi, compromettendo così la tutela offerta dalla legge sul sovraindebitamento. Il provvedimento chiarisce il difficile e controverso rapporto tra il disturbo da gioco d’azzardo patologico (riconosciuto dal servizio sanitario nazionale) e il diritto alla cosiddetta «seconda possibilità» previsto dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza.
Il caso riguardava un gelese che, dopo anni di dipendenza dal gioco e un dissesto finanziario, aveva intrapreso un percorso terapeutico certificato dall’Asp, sostenendo di aver superato la patologia e di meritare l'accesso alla procedura di esdebitazione. Motivazioni che avevano convinto il Tribunale di Gela che ha riconosciuto all’uomo la possibilità di accedere ai benefici della legge sulla ristrutturazione dei debiti. Ma uno dei creditori ha impugnato la decisione, sostenendo che i finanziamenti fossero stati contratti unicamente per alimentare il vizio del gioco, aggravando l’esposizione economica a danno degli stessi.
La prima sezione della Corte d’Appello ha ribaltato la sentenza. I giudici di secondo grado hanno ritenuto che la condotta del debitore fosse «irragionevole e negligente». In particolare, hanno censurato il fatto di aver continuato a ricorrere al credito, contraendo nuovi prestiti, nonostante i ritardi e le omissioni nei rimborsi dei finanziamenti precedenti. Questa per i giudici è una colpa grave e sbarra la strada all’accesso ai benefici dell’esdebitamento. Nelle motivazioni è evidenziato che il debitore si è limitato a indicare la ludopatia come causa del dissesto, senza fornire prove che escludessero la sua responsabilità o che giustificassero l’utilizzo lecito dei prestiti. Apprezzabile sul piano umano che si sia sottoposto a terapia per vincere la ludopatia ma questo non dimostra che ha fatto debiti privo di consapevolezza o costretto da cause di forza maggiore. In effetti ha continuato a contrarre debiti anche ritardava a pagare i debiti pregressi. Un comportamento non diligente. La sentenza stabilisce quindi che la disciplina del sovraindebitamento non può essere utilizzata come uno strumento di deresponsabilizzazione. La ludopatia non può fungere da scudo contro la responsabilità economica. La tutela del debitore fragile deve sempre bilanciarsi con le ragioni dei creditori e con il principio di responsabilità personale.