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Storie di mafia

L'omicidio nella villa confiscata al killer: la trappola di Avola all'amico-sicario

In via Cefaly nel 1993 fu ammazzato Pinuccio Di Leo, soldato del gruppo di fuoco della squadra di Ognina del clan Santapaola. Fu ucciso per evitare che potesse collaborare. Cosa che un anno dopo fece il suo stesso assassino .

Laura Distefano

15 Ottobre 2025, 23:43

16 Ottobre 2025, 00:11

Il pentito Avola

Maurizio Avola in una foto d'archivio

Da luogo di morte a spazio di nuova vita. La villetta con spazio all'aperto di via Francesco Mannino Cefaly a Catania era la “seconda casa” di Maurizio Avola, collaboratore di giustizia con un passato da spietato killer. Quel bene confiscato al pentito che, qualche anno fa, si è autoaccusato di aver preso parte alla strage di via D'Amelio, diventerà un ambiente destinato ai bisognosi. Era in verità il covo dove si riuniva il gruppo di fuoco della squadra di Ognina, capitanata dall'uomo d'onore Marcello D'Agata, tra i colonnelli più vicini ad Aldo Ercolano, figlio di Pippo e nipote di Nitto Santapaola.

Qui si pianificavano le condanne a morte. Decine. Almeno 80 secondo quello che ha confessato Maurizio Avola. E proprio qui, il sicario "dagli occhi di ghiaccio" ha ucciso. Ha ammazzato il suo migliore amico Pinuccio Di Leo. Anche se non ha premuto il grilletto personalmente, c'è la sua firma in quell'assassinio. Quando, dopo l'arresto, Claudio Samperi collaborò con la giustizia ci fu un terremoto dentro Cosa Nostra catanese. L'ordine fu quello di eliminare tutti coloro che avrebbero potuto scegliere quella strada. Di Leo era spietato quanto Avola. Chi li vedeva girare insieme a Catania sapeva che ci sarebbe stato un morto ammazzato. Pinuccio Di Leo si lasciò scappare che se fosse stato preso non avrebbe passato la vita in carcere. Una frase, magari detta in un momento di sfogo, diventò una taglia sulla sua testa. Avola spifferò tutto a D'Agata ed Ercolano, che nel dubbio dissero al killer di risolvere il problema. Di Leo fu attirato in via Cefaly. E poi fu ammazzato. A bruciapelo. Era il 26 febbraio 1993. Avola raccontò di averlo preso a schiaffi quel cadavere. La moglie denunciò la scomparsa: il corpo pare fu bruciato. Nello stesso giorno non si ebbero più notizie di Ernesto Carbonaro, amico di Di Leo. Anche lui ingoiato dalla lupara bianca. Qualcosa nel piano non funzionò. Giuseppe Licciardello, detto "pasticcino", decise di collaborare. E spiegò ai pm di Catania cosa fosse successo in via Cefaly. La guardia di finanza trovò anche il foro del proiettile allo stipite della porta della stanza da letto, così come lo aveva raccontato Licciardello. Due giorni dopo a Tremestieri Etneo, Maurizio Avola è fermato. Il provvedimento si basò proprio sulle dichiarazioni di "pasticcino". Nel 1994 fu Avola a vuotare il sacco.

Per arrivare in via Cefaly si deve passare da via delle Olimpiadi, il luogo dove nel 1981 il gruppo di Ferlito fece un attentato  con mitra e bazooka al covo dove solitamente si riuniva Nitto Santapaola con i suoi fedelissimi. Ma il padrino si salvò per miracolo, oppure non c'era. Sul posto venne rinvenuta soltanto la sua auto blindata. Rimasero feriti Natale Di Raimondo, oggi collaboratore, e Salvatore Pappalardo, ammazzato anni dopo da Alessandro Strano. Ma la villetta-covo di Avola è anche davvero poco distante da via De Chirico, a Cerza, dove abitava il capo dei capi di Catania. Nell'appartamento in cui nel 1995 fu uccisa la moglie del mafioso, Carmela Minniti, davanti agli occhi della figlia Cosima. Maurizio Avola non abitava nella villetta confiscata però. La sua residenza era al civico 3 di via Medea, a pochi passi dal rifornimento di Marcello D'Agata, dove si prendevano i caffè i boss.